Omelia Don Carlo 1 novembre 2019


Omelia 01 novembre 2019

“Beati i poveri, beati i miti, beati… beati…”

Gli uomini veri agli occhi di Gesù, quelli che più ammira, sono gli uomini beati, felici! La Chiesa non proclama uno santo prima di averlo proclamato beato. Uno può esser bravo fin che vuole moralmente, ma non può esser triste. Uno triste la Chiesa mai lo proclamerà santo. La stoffa della santità cristiana, prima che etica, è estetica. Cioè il santo prima che cose buone, deve fare delle cose belle, deve riecheggiare quello che vibrava nel cuore di quelle folle su quel monte di fronte al lago, il monte delle beatitudini.
Il santo cristiano è un uomo che vive di bellezza e anche il bene che lui fa vien dal bello, è figlio del bello, non di una legge, non di un dovere.
È bene ciò che è bello. È bene quello che ti fa godere pienamente, questa è l’etica cristiana. San Tommaso chiama eudemonistica un’etica che viene dalla felicità, non dalla legalità o dalla moralità.
Per questo la santità cristiana è una sfida per tutti. Non sfida gli uomini bravi, pii, religiosi… sfida l’uomo che vuol essere uomo, che vuole godere la vita.

E cos’è che rende l’uomo “uomo”? Cos’è che rende l’uomo felice?
Questa è la grande domanda a cui ogni uomo non “deve rispondere”, cui risponde comunque – anche se non ci pensa – da quando si sveglia al mattino fino a sera, per tutta la vita l’uomo risponde a questa domanda.
E si butta su ciò da cui si aspetta di essere felice.
Chi ha sfidato il mondo più radicalmente degli Ebrei e dando una risposta precisa? הַקֳּדָשִׁים (Qodesh) vuol dire toccato da Dio, segnato da Dio, dedicato a Dio. Per gli Ebrei, l’uomo si realizza se è toccato da Dio, se è segnato da Dio e se dedica la vita a Dio, è in rapporto con Dio, con il קֹדֶשׁ הַקֳּדָשִׁים (Qodesh ha-Qodashim), con il Santo dei Santi che rende l’uomo vero.
Tu vedi vivere quell’uomo e sei costretto a pensare a Dio, questo dice la fede ebraica. Perché quell’uomo stesso si pensa così, ha questa coscienza in sé, dice “io” e si sente di Dio, per Dio. È il contrario della coscienza dell’uomo moderno. La cultura di oggi dice che invece Dio è nemico della felicità dell’uomo.
Come dissi anch’io, a sedici anni, tra i quindici e i sedici anni e mezzo: apersi gli occhi, cominciai a guardare criticamente la proposta ricevuta da piccolo, in famiglia, nella Chiesa, nelle parrocchie che conoscevo e dissi: “questa è una fede bigotta e moralista, non è umana, non è per me. Io non la posso seguire.” E cominciai a criticarla, inesorabilmente, sempre più potentemente, perché vedevo quello e solo quello. E trovai come amici in questa critica i grandi del moderno: io sono nato discepolo di Marx, di Freud, di Nietzsche, i grandi moderni che dicevano che la fede – il primo fu Marx – è una alienazione religiosa, la droga, l’oppio dei popoli. E quella che vedevo io era così, addormentava la gente, uno doveva spegnere il proprio io per credere. Io pensavo che fosse quella la fede, non sapevo che era la patologia della fede. Non avevo ancora visto la fisiologia, la bellezza dell’uomo di fede. L’avrei vista dopo otto anni e mezzo di amarezza, di cattiveria, di veleno perché tu devi buttar via ciò in cui sei nato, se vuoi essere te stesso. Era lacerante criticare la mia origine, la mia storia, la mia tradizione compresa la mia famiglia. Allora pensavo che fosse quella e non ebbi dubbi, non potevo, non potevo rinunciare ad essere me stesso. E se è il prezzo era quello, si va anche dal chirurgo, che ti taglia un pezzo per salvar la pelle.
Quella era soltanto una patologia della fede, non avevo visto uomini di fede belli, realizzati, beati. Le beatitudini me le presentavano come parte della legge morale cristiana. Come se uno dovesse piangere, dovesse essere scomodo, dovesse soffrire per essere beato dopo. Invece, lo studiai dopo, nel vangelo di Matteo e anche di Luca, le beatitudini non fanno parte della legge, ma fanno parte dell’annuncio! Sono l’annuncio che la beatitudine esiste, anche per quelli, anche per quelli, per tutti…
Questo dice la cultura di oggi, questo pensa la maggior parte della gente di oggi. Il mondo moderno pensa questo. E non vedendo da nessun’altra parte la beatitudine, è nichilista. Perché se rifiuti questo cosa c’è? C’era il benessere, il wellness materiale, ma quello delude, deprime. E allora cosa resta?

E la tua esperienza cosa dice?
Che bellezza porta la fede cristiana, Cristo, dentro la tua vita?
Che sfida rappresenta per gli uomini che ti vedono ogni giorno, quello che vibra dentro di te?
Che bellezza porta Dio dentro la vita?
È interessante se, nel dialogo tra noi, ci si dice ciò per cui spendiamo la vita, cioè ci aiutiamo guardandoci negli occhi, ad essere rigorosamente ragionevoli e umani. Solo così saremo il sale della terra, saremo il punto di verifica che non dà tregua a nessun uomo che incontriamo. Perché uno può non credere in Dio, uno non può più vivere se non crede nella propria realizzazione umana, se non la vede possibile!