Omelia Don Carlo 16 febbraio 2020


Omelia 16 febbraio 2020

“Tra coloro che son perfetti, noi parliamo di sapienza”, dice Paolo.

E coloro che sono perfetti, per Paolo, sono i cristiani, ma perfetti in cosa? Non certo nell’impegno, nella morale. Basta pensare a lui, anni addietro, a lui. Il punto in cui sono perfetti i cristiani non è la morale, ma è la moralità. La morale è “i comandamenti”, la moralità è la tensione-a, ciò a cui tendi con tutto il tuo cuore. I cristiani, Paolo, sono persone tese alla perfezione, ma alla perfezione dell’essere, prima che del fare. Sono uomini che hanno visto Dio nella faccia di Gesù e vogliono essere come Gesù, realizzare la grandezza e la bellezza che si sentono dentro. E si guardano – un uomo guarda se stesso come Dio lo guarda e Dio è uno che conta – dice nel vangelo di Matteo – “tutti i capelli del capo”, non vuole che nessuno si perda. È questa la perfezione di cui parla pure Paolo, alla faccia di tutti i moralisti del mondo e pure della Chiesa che sono preoccupati del comportamento perfetto, secondo poi la loro idea di perfezione. I moralisti non danno respiro alla gente, li fanno sentire in colpa quando non ci riescono, oppure per togliere il senso di tutto, abbassano l’ideale fino a quando non coincide con le loro misere capacità; in ogni caso li fanno morire di claustrofobia. I moralisti sono gente senza respiro perché nessuno è perfetto nel comportamento!

Paolo dice ai Romani:
“Io dentro di me sento che non faccio il bene che voglio e faccio il male che non voglio”.
Io sono imperfetto nel fare, ma son perfetto nel desiderare e nel domandare perché mentre io cado, lì, posso essere vero, posso essere perfetto, come segno, perché io sono tutto teso e posso dire, come Gesù, mentre faccio il peccato: “Chi vede Me vede il Padre”.
Non mi vedi che mentre cado sono teso io, non vedi che sono tutto un segno di Dio? Perché la mia grandezza è una sola, dice Paolo: “È essere segno di Dio, come Gesù è segno di Dio”. Tutto il resto della mia vita, quel che riesco o non riesco, quel che faccio e quello che non faccio, che faccio bene o che faccio male, tutto il resto è strumento per essere questo segno. Anzi, agli occhi di Paolo o di San Francesco, tutto in sé è già segno, tutto è creatura di Dio. Quel che può mancare al segno è che io ne abbia coscienza: è il mio sguardo che riconosce il segno. Questa è la novità cristiana: è l’unica che dà respiro all’umano.