Omelia Don Carlo 2 febbraio 2020
Omelia 02 febbraio 2020
“Lo portarono al tempio per offrire in sacrificio due tortore o due colombi”.
Ché l’offerta e il sacrificio sono l’espressione più grande della religiosità umana. Se Dio è Signore, se tutto è Suo, io lo riconosco con l’offerta di qualcosa a Lui, come un tributo, come una tassa. È il padrone, è tutto Suo e per dirlo Gli rendo qualcosa. Nelle religioni naturali, quindi, l’offerta è una cosa che l’uomo dà a Dio, cioè l’incontrario di Gesù. In Gesù l’offerta non è una cosa che l’uomo dà a Dio, è il contrario: è una cosa che Dio dà all’uomo. Gesù guarda una cosa – una qualunque cosa – e dice “Questa cosa, Abbà, Padre, è un’offerta che Tu fai a me, è tua, Tu la dai a me. Il mondo intero è un’offerta che Tu fai a me ogni istante. Grazie!”.
L’offerta per Gesù è la natura delle cose, le cose sono un’offerta che Dio fa a me, non che io faccio a Lui. Quindi, l’offerta non è un dovere legato alla morale; è uno sguardo, è lo sguardo vero sulle cose, l’offerta è il volto vero di una cosa.
È il contrario del pensiero dell’uomo moderno che guarda le cose come sue. L’uomo moderno è antropocentrico: lui è il padrone, “tutto è mio, ne faccio quel che voglio, lo dò a chi voglio, e dò qualcosa anche a Dio, faccio la mia offerta, qualche Euro anche a Dio, la domenica Gli accendo una candela”. Questo è l’uomo moderno.
Che differenza fa concepire l’offerta come una cosa mia che dó a Dio o come dono che Dio fa a me, ogni istante? Cosa cambia?
Cosa cambia nella vita di Simeone (il primo che si è trovato davanti a Gesù, piccolo, ma ha dovuto riconoscere che quello che lì accadeva era tutto un’offerta che Dio faceva a Maria, a Giuseppe, a lui, ad Anna)? Che sguardo nasce?
“Ora lascia che il tuo servo vada in pace. I miei occhi hanno visto”.
Hanno visto la verità: adesso lascia che io viva in pace o che muoia in pace, non mi cambia niente. Quello che conta è che adesso sono in pace.
Se tutto è un’offerta che Dio fa a me, (allora) io stesso, la mia persona, la mia natura, è un’offerta, è un dono che Dio mi sta facendo. Io sono in pace, che viva o che muoia non mi cambia niente.
Come san Francesco, che quando intuisce questo, fa il Cantico delle creature e diceva “Laudato sie mi’, cum tucte le tue creature”. Sono pieno di gratitudine, del bene che mi dai, me lo godo, Te ne ringrazio e davanti al male – di cui la mia vita è piena, che ferisce la mia vita – io sono audace. Come Gesù che, davanti al male, dice: “Ma liberaci dal male”. Il Padre Nostro è la preghiera più potente, più umana, più positiva, più razionale che esista. Gesù non dice “spiegaci il male”, ma “liberaci dal male”! Il male per Gesù non ha senso, il dolore non ha senso, la morte non ha senso. Il male è il non-senso e Gesù non chiede il senso del non-senso – Gesù è sano, non è masochista, ma siamo pazzi?! – “liberacene” (dal male), toglilo via, toglilo via!
Io posso pregare come Gesù e dire: “Non mi corrisponde, me ne devi liberare, non me lo devi spiegare! Mi rifiuto di pensare che il dolore o la morte abbiano un senso”, dice Gesù. È tanto vero che, dopo neanche 40 ore, viene risorto dai morti: viene “liberato-dal”, non viene “spiegato-il”.
Questo è lo sguardo cristiano sulla realtà. Sei in pace anche quando sei sulla croce con questo sguardo. Sei audace, sei certo perché Cristo è già stato esaudito e io sono certo che sarò esaudito! Che differenza c’è fra me e Gesù? Sono figlio di Dio uguale!
Quando, invece, io ho l’angoscia, quando non sono in pace, è perché sono un uomo moderno, perché mi penso padrone, (penso) che tutto è mio, che tutto è nelle mie mani. E, allora, “Auguri!” se io penso che la mia vita, a quasi 74 anni, è nelle mie mani, mi viene l’angoscia al solo pensiero.
Cosa ho nelle mani io?
Dice Paolo la differenza – lo dice con un’espressione abbastanza dura, ma attualissima in Filippesi 2,6: “Lui, pur essendo figlio di Dio, non considerò la Sua vita, il mondo, le cose, ὃς ἁρπαγμὸν (os arpagmòn). ἁρπαγμὸν (arpagmòn), ἁρπάζειν (arpàzein) vuol dire rapire, una rapina, una preda di guerra. ἁρπάζειν (arpàzein): l’aquila che artiglia la sua preda. Gesù non considerò quel che era come una preda da difendere – difendere da chi? Da Dio? – si è fatto uomo, si è svuotato e ha guardato le cose come un dono.
Quando io sono in angoscia è perché penso a Dio come un padrone che mi vuole rubare le cose, a cui devo pagare un tributo; quando le guardo come le guarda Cristo sono in pace.
Che sfida, ogni istante, che sfida radicale, che sfida al pensiero – prima ancora che al sentimento o ai comportamenti morali.