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Omelia Don Carlo 13 dicembre 2019

*Omelia 13 dicembre 2019*

“Dio veglia sulla via dei giusti, ma la via degli empi va in rovina”.

Questa è l’illusione della fede giudaica: che ai giusti le cose van bene, ai cattivi van male, la fede mette a posto le cose, ti garantisce il benessere, ma questa è un’illusione amara e la pagheranno più volte, perché quando vengono deportati, i conti non gli tornan più, impazziscono. La fede non sistema le cose, sistema te. Soffrono i buoni e i cattivi: non c’è nessun rapporto fra benessere e fede, disgrazie e peccato. Li fan fuori perché non capiscono più la logica. E si chiedono: “Ma allora a che serve la fede, se non mette a posto la vita?”

“Chi Ti segue Signore, avrà la luce della vita” (dice) il versetto del salmo.
La luce non cambia le cose, te le fa vedere come sono, belle o brutte che siano. La fede serve a vedere le cose, la vita, serve a vivere tutto per l’uomo, a vivere le cose belle, a vivere le cose brutte e a crescerci miracolosamente dentro. La legge di Dio non è la legge di Dio, è la legge dell’io, descrive come son fatto io e mi aiuta a vivere tutto, a diventar me stesso in tutte le cose, come Gesù. La Sua fede non Gli ha evitato la croce, ma Gli ha permesso, Gli ha dato il potere, di realizzare Se Stesso sulla croce.
C’è un miracolo più grande che evitar la croce: è poterla vivere. Il vero miracolo di Cristo non è che sistema le cose della vita – ai santi non gli ha sistemato niente – ma che permette che tu ti realizzi completamente in questo mondo disastrato e imperfetto.
La fede fa fiorire te come uomo. C’è qualcosa di più che non avere la croce: è poterla vivere e crescerci – sono capaci tutti a star bene con le loro cose che van bene!
Questo ci fa insorgere una domanda: ma allora tu perché credi in Cristo?
Cosa fa fiorire Gesù della tua umanità?

Omelia Don Carlo 12 dicembre 2019

*Omelia 12 dicembre 2019*

“Tra i nati di donna, nessuno è più grande di Giovanni Battista”.

Perché nessuno è più profeta di lui, cioè più grande nel desiderio. Perché la cosa più grande che uno può fare nel mondo è desiderare la grandezza, l’infinito – questo è il profeta. È quello che tiene alta l’asticella del desiderio. Sono 170 anni che gli Ebrei non hanno più un uomo così, che apra loro il cuore, come Giovanni ha cominciato a fare con le folle. Ma Giovanni Battista muore senza vedere e gustare la grandezza che lui attende. Quello che può fare è indicare con il dico: “Ecco, l’Agnello di Dio!”. “Non è per me, è per voi; voi siete chiamati a conoscerLo e a goderne, io morirò triste”. Perché – lo dice Gesù: “Il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di Giovanni”.
Ha una possibilità di conoscenza e di godimento in più, il centuplo. A Giovanni questo non è dato, perché? Il cristiano che cosa ha più di Giovanni?
Non che è più bravo moralmente, ma che conosce la grandezza della promessa che Giovanni non conosce né può vedere perchè il cristiano vede fiorire la propria umanità. Senza la grandezza l’uomo sfiorisce.
Giovanni è il testimone della domanda, il cristiano è l’annunciatore della risposta. La felicità è un matrimonio fra la domanda e la risposta. Perché una risposta senza domanda non entusiasma, è una cosa grande ma tu pensi che sia piccola, non ne hai bisogno. Ma anche la domanda senza la risposta è insostenibile, ti logora, ti consuma. Quando noi siamo logorati, o senza entusiasmo è perché ci manca questo “matrimonio”. O l’uno o l’altro: o ci manca la domanda o ci manca la risposta.
È decisivo che ci chiediamo: “Cosa desta ogni giorno la mia domanda?” e “Cosa mi svela ogni giorno la risposta?”

Omelia Don Carlo 11 dicembre 2019

*Omelia 11 dicembre 2019*

“Chi spera nel Signore corre senza affannarsi, cammina senza stancarsi”.

Non so da dove venga ad Isaia questa intuizione potente di cosa sarebbe avvenuto alla venuta del Messia. Perché è un pensiero assurdo che gli viene, che è contro le leggi della natura. Perché, in natura, uno che corre ha il fiatone, uno che cammina si stanca. Lui dice il contrario perché sente che questa è la sfida della fede, è proprio il miracolo esistenziale più convincente, perché è un miracolo che ti trovi addosso nel tempo, è quello che dimostra che Gesù è vivo, perché ti fa rinascere ogni giorno.

Come dice anche il Salmo 84: è uno a cui “cresce lungo il cammino il suo vigore”. Ma è assurdo, pensateci! Qui dice proprio:ἐκ δυνάμεως εἰς δύναμιν (ek dynameos eis dynamin) a uno sforzo più forza. Se io mi sforzo avrò meno forza, ho consumato l‘energia. Qui dice che è il contrario per l‘uomo di fede. Come nell’automobile il turbo che
ricicla il gas di scarico, prende dalla marmitta l’energia già consumata che sarebbe già inutile, inutilizzabile, la ributta dentro e, a parità di consumi, tu vai più forte. Ma questo è il frutto della fede vera perché – mi dispiace – ma c’è la fede “doc” e la fede tarocca, e ce ne è tanta.

È che (la fede) non dipende dal carattere della persona o dalle circostanze, ma dalla libertà. La fede vera è uno che ci rischia tutto, che ci butta tutto come… Avete presente nel poker il giocatore che sa di avere la carte buone o che fa il baro? _All in_ si dice, tutto dentro. È quello che prende tutte le _fiches_ e le butta nel piatto e li sfida tutti a buttare tutto così vede chi ha le carte buone e chi non ce le ha. Ecco questa è la sfida, d’altronde che Salvatore sarebbe Cristo se non valesse tutte le _fiches_ della mia vita?

Omelia Don Carlo 9 dicembre 2019

*Omelia 09 dicembre 2019*

“Oggi abbiamo visto cose prodigiose”.

Chi incontra Cristo vede cose prodigiose _paradoxa_, cose paradossali dice Luca, cioè fuori dal normale, eccezionali, che gli fan dire “qui c’è altro!”.
Come dicevano i profeti ebrei di fronte a fatti prodigiosi, gridavano “Haec mutatio est Deo”, questo cambiamento è opera di Dio, questo è opera di Dio. Noi siamo di quelli che han visto cose prodigiose, perché le viviamo, quelle per cui diciamo io credo in Cristo. Sono le esperienze per cui io posso dire che la mia fede è ragionevole.
I sintomi della folla di fronte alle cose prodigiose dice il vangelo di Luca – Luca è molto psicologico, è un medico che coglie questi aspetti dell’umano sempre, Dante lo chiamò “Luca, scriba mansuetudinis Christi”, colui che descrive puntualmente la delicatezza umana – dice: “Tutti furono colti da stupore e davano gloria a Dio”.
Il miracolo è una cosa che stupisce sempre, chi crede è un uomo stupito. Un uomo piatto, spento, abitudinario non è un uomo di fede. Sarà stato un uomo di fede, ma adesso non crede, adesso.
La seconda cosa: “davano gloria a Dio”. L’uomo di fede è un uomo che dà gloria a Dio. Che parli o che taccia, non centra niente. Dà gloria a Dio perché lui non è un brav’uomo, è un uomo “segnato”, si porta addosso il segno della gloria di Dio, tu vedi quell’uomo e i conti non ti tornano, vedi quell’uomo e devi pensare a Dio, prender posizione davanti a Dio. Quell’uomo è soltanto il segno con cui Dio interpella te.

Omelia Don Carlo 4 dicembre 2019

Omelia 04 dicembre 2019

“In quel giorno Dio preparerà un banchetto”.

È la promessa del profeta Isaia al popolo ebraico. Dio porta nel mondo la festa,
non per l’aldilà, ma una festa che comincia adesso. Questa è la promessa ebraica e dell’annuncio cristiano.
Come faccio a sapere se questa promessa è vera o è “tarocca”?Chi può dirlo, se non chi partecipa alla festa, chi comincia a festeggiare? Come quella folla che mangia il pane e il pesce.

“Tutti mangiarono a sazietà”.
Sperimentano, cioè, la soddisfazione del loro desiderio. Il Vangelo chiama la soddisfazione del desiderio “miracolo”. È una soddisfazione naturalmente impossibile che ti costringe a pensare a Dio.
E tu di quali miracoli fai esperienza nella tua vita?
Perché la fede inizia sempre con un miracolo, da un entusiasmo, che, però, poi è un entusiasmo che si spegne. E perché si spegne? Cos’è che manca per far durare l’entusiasmo?
Dice che le folle e i discepoli portarono via sette sporte di pezzi avanzati: portan via le tracce del miracolo per farne memoria per tutta la vita. Perché l’entusiasmo finisce perché non si fa memoria del miracolo. Perché nel miracolo c’è tutto. In un miracolo c’è Dio, Dio basta, di miracoli ne basta uno, due già distraggono. Infatti, Paolo che è venuto dopo, quando ha intuito questo, chiamava il miracolo ἐφάπαξ (efapax): una volta per tutte, un fatto definitivo, in cui c’è tutto, non c’è bisogno di altro. Lo chiama anche “katexochèn”: eccezionale, debordante, definitivo.

Dopo che l’hai visto, non ti deve accadere altro, solo accadere che tu ne fai memoria: come dice il vecchio Simeone quando ce l’ha fra le braccia: “Basta! I miei occhi hanno visto, puoi prendere il tuo servo”; come san Paolo: “Nessuno mi crei più fastidi, ho solo da andare in fondo alla sapienza di Cristo” o come il monaco del IX secolo ai tempi di Carlo Magno, Laurentius, che disse ai soldati di Carlo Magno: “Lasciatemi in pace, quando ho incontrato Cristo ho capito che tutta la vita dovevo trascorrerla alla ricerca di quello mi è accaduto – a prenderne coscienza – e il Suo ricordo mi riempie ancora di silenzio – non mi serve altro”.
Senza il lavoro della memoria, secondo me c’è solo una fede da infartuati, gente affannata, tutta sincopata, a colpi e spintoni: “Deve riaccadere! Deve riaccadere!”, ma se ti “deve riaccadere” non ti è mai accaduto manco la prima volta, perché quello che ti è accaduto non è “accaduto”. Se è accaduto non deve riaccadere più niente, se non che tu vivi ogni istante di quella pienezza.
Solo in questo tipo di fede c’è pace e libertà.