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Omelia Don Carlo 3 dicembre 2019
Omelia 03 dicembre 2019
“Nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre”.
Nessuno di voi mi capisce, mi capisce solo Dio. È drammatico lo sguardo di Gesù sui Suoi amici: sono insieme da tre anni e si sente solo anche tra gli amici che ha scelto. La comunità di Gesù non toglie la solitudine neppure a Lui! La solitudine la toglie solo Dio.
Allora a cosa serve la comunità, che è la cosa più bella e più cara che loro avevano, che noi abbiamo?
“Beati gli occhi che vedono ciò che vedete”.
È vero, voi siete beati per quello che qui vedete: “Non vi è tolta la solitudine, non è tolta neppure a Me, ce la toglie solo Dio quando Lo vedremo”.
Ma voi, qui, siete beati perché vedete un uomo che si sente solo come voi, eppure, per questo uomo – per Gesù – la solitudine non è maledetta, è senza veleno anzi: “Nessuno – dice Lui – conosce il Padre se non il Figlio”.
Ecco, Io conosco il Padre, conosco lo sguardo del Padre, il Suo sguardo diventa il Mio. Io guardo Me stesso come Mi guarda il Padre, guardo voi come vi guarda il Padre, siete Suoi figli.
Davanti a Gesù (sentiamo lo sguardo del Padre), è per questo che noi siamo beati, perché sentiamo su di noi lo sguardo del Padre. E vediamo anche noi, come di riflesso, con gli occhi di Dio.
E possiamo anche noi dire: “Beati gli occhi che vedono ciò noi vediamo”.
Siamo contenti di essere qua, perché lo scopo della comunità non è di sostituire Dio o di sostituire la fede personale.
La comunità non ci fa compagnia “direttamente”, ci fa come una compagnia “indiretta”. Ecco, ci dà lo sguardo di Dio su di noi e su tutto. È come i satelliti che fanno sentire in terra la voce del cielo, fanno vedere in terra l’immagine che si vede dal cielo.
La fede è una conoscenza “trigonometrica”, ha un punto di rimbalzo: se stai in comunità senza far tuo lo sguardo, senza avere una fede personale, c’è una solitudine maledetta; se stai in comunità e accetti la sfida di guardare negli occhi di Cristo quelli del Padre, Cristo è come il satellite che ti fa sentire lo sguardo del Padre. È misteriosa la comunità cristiana, non toglie il dramma della solitudine, ma gli toglie il veleno. Lo rende, paradossalmente, una cosa desiderabile.
Omelia Don Carlo 2 dicembre 2019
Omelia 02 dicembre 2019
“Il germoglio crescerà, il frutto sarà magnificenza”.
L’immagine potente nella testa del profeta Isaia, prima ha esaltato Gerusalemme “Andiamo con gioia”, poi si rende conto che Gerusalemme non garantisce nulla, sarà distrutta più volte, adesso ne è rimasto solo un pezzo di muro.
Non è sufficiente, Gerusalemme è una cosa, una casa di pietra, non può garantirti la vita. E anche il centurione, pagano, non aveva granché di religioso, ma dice: “Non importa che Tu venga nella mia casa”.
Ma che problema di casa? Io Ti guardo e vedo che Tu hai una potenza di vita che attraversa i muri!
Non c’è bisogno che venga sotto il mio tetto. Non c’è bisogno di nessun tetto, di nessun muro.
In che cosa si fonda, dove poggia la novità che Tu porti?
Non ho mai trovato una fede così grande. Quest’uomo ha capito che il problema non è una città fatta di muri.
Che cos’è allora? Isaia c’ha un’immagine potente:
“Il germoglio crescerà, il frutto suo sarà magnificenza”.
Il germoglio non è una casa, il germoglio è una vita, è una gemma di primavera.
Il germoglio è la libertà di un uomo che accoglie l’annuncio e dice “sì”. Non è più una casa che si può abbattere: la libertà di un uomo non si abbatte mai.
Lui ci guarda così – dice Isaia – Gesù ci guarda così. Ai Suoi occhi noi siamo un germoglio piccolo, fragile, minacciato, ma che porta una grande promessa. Siamo fatti per fiorire, per portar frutto, per diventare beni futuri.
E perché tante volte, invece, non abbiamo questa percezione di noi stessi? Cosa ci manca? Cosa occorre perché un germoglio, la libertà di uomo, possa fiorire e fruttificare?
Prima occorre innaffiarlo, concimarlo e lavorarlo. È la legge di ogni vita, anche della vita umana.
Tante volte noi ci sentiamo brutti, infecondi, sterili perché siamo pigri, non abbiamo cura di questo germoglio che noi siamo. E serve anche potarlo – direbbe il Vangelo di Giovanni – cioè tagliar sempre le gemme secondarie perché non sprechino linfa in ciò che non è essenziale. La potatura vuol dire puntare sempre sull’essenziale, sulla gemma più potente. Perché nella vita tutto è bene, ma non è tutto uguale.
Spesso noi ci sprechiamo per cose secondarie, per dei capricci, per delle fissazioni estenuanti da cui poi usciamo frustrati. Quello che è consolante nella mia vita di educatore è che nel mondo esiste un giardino dove ogni germoglio, anche il più ferito, può fiorire.
“Che gioia quando mi dissero andremo alla casa del Signore”, cioè un luogo in cui ognuno può essere un germoglio miracoloso.
Omelia Don Carlo 29 novembre 2019
*Omelia 29 novembre 2019*
“Cielo e terra passeranno, ma le mie parole no”.
Ma come fa Gesù ad essere così certo che le Sue parole non passano? Perché Lui è certo che le Sue parole sono vere! E cosa Lo rende certo?
“Ah lui era Dio, sapeva tutto.” dicono i monofisiti – l’eresia che nega l’umanità di Gesù – “È un uomo finto” (per loro) è un Dio che faceva finta, se era mascherato da uomo. Eh no! Gesù è un uomo reale come noi, è un Dio che è diventato uomo, uomo reale. Non è che perché Dio è meno uomo. E l’uomo ha un solo modo per diventar certo – non ne conosco altri: l’esperienza. Gesù è certo perché è serio con le cose che vede e con l’esperienza che fa. Lui vive tutto intensamente, al massimo, ci mette tutto se stesso nelle cose. E così le cose sono come “sprizzate”, parlano, e Lui capisce, capisce tutto. Le cose parlano solo se tu sei serio con le cose, quando dai te stesso. Quando noi non capiamo, non è perché siam scemi, è perché siamo “smorti”, non viviamo intensamente niente. Abbiamo un rapporto _light_ con la realtà, come la Coca Cola zero. Come – avete presente il surf? – il surfista che naviga sulla cresta dell’onda, scivola via, tutto gli scivola sotto, vive di schiuma, di salti di vento, di folate di vento, sempre alla superficie, non è interessato alla sconfinata profondità dell’oceano.
Cos’è che ci frena dal buttarci fino in fondo, dal “tuffarci” nella realtà?
Eh, è la paura di affogarci dentro, che sia nemica, che sia contro. Gesù invece ci si “tuffa” tutto intero, anche sulla croce. Perché Lui sa di Chi è la realtà, per Lui il mondo intero è tutto un regalo che Dio Gli fa ogni istante.
Dove la vedi tu baluginare, fiorire nel tuo cuore questa intuizione potente che ti può rendere libero?
Omelia Don Carlo 28 novembre 2019
Omelia 28 novembre 2019
“Benedite il Signore folgori, nubi, cielo e terra”.
Ma come fa quest’ebreo, che vede le forze della natura, a benedire Dio? Ma non vede i disastri naturali: le alluvioni, i terremoti, gli incendi?
Li vede! Ma nei disastri vede qualcos’altro che i disastri stessi. C’è qualcosa, nelle forze della natura, che i disastri non cancellano, gli apre uno sguardo più profondo. Vede ciò che sono realmente queste forze della natura: sono creature di Dio, sono segno di Dio, ma non sono Dio – non è scemo! Sono forze cieche, sorde al grido del nostro cuore; non ci sono date, queste forze, per farci felici. Non dobbiamo adorarle, ma non dobbiamo neanche temerle, le dobbiamo conoscere e usare e il primo comando di Dio all’uomo riguardo la natura è:
“Dominate la terra, soggiogatela la terra”. “Adamo dai un nome a tutto, prendi possesso!”.
Queste forze sono da interpretare come segni di Dio, come strada per condurci a Dio. La fede è proprio l’avventura dell’interpretazione di questi segni.
E l’avventuriero è Gesù. Lui che conosce Dio, Lo può riconoscere in tutto. Con Gesù tutto è segno, quindi tutto ha senso. Invece, per chi non conosce Gesù, per chi non crede, non ci sono segni, ci sono solo cose.
“Ma l’uomo” – disse Gesù uscito dal deserto – “non vive solo di cose, vive di segni”.
Senza segni la vita è ridotta a cose, è di meno, è insoddisfacente: è proprio questo che è all’origine del nichilismo contemporaneo.
Se la vita non fosse di meno, io sarei ateo! Io seguo Gesù perché non mette a posto nulla, non mi difende dalle forze della natura – sono io che le devo conquistare, non mi devo difendere – mi aiuta ad attraversare, a vedere tutto come strada verso Chi mi compie.
Omelia Don Carlo 27 novembre 2019
Omelia 27 novembre 2019
“Nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto”.
Questa è la promessa di Gesù a chi Lo segue: la totalità! Con Me tu abbraccerai la totalità della realtà. È esplosiva la sfida di Gesù per chi ha un cuore vivo, perché il cuore è fatto per la totalità. Il desiderio più struggente che mi sento addosso non è un desiderio di Dio – Dio è un mistero, ignoto, che io non vedo e non conosco. Quando mi sveglio al mattino io vedo le cose, desidero le cose, le desidero tutte, tutta la bellezza che le cose portano e la verità di cui sono segno. Io voglio conoscere, amare e godere di tutto.
Dio lo desidero in quanto Dio è tutto, è Colui che mi fa tutto e che mi dà tutto, si può chiamare anche in un altro modo.
La felicità, per me come uomo, è un abbraccio, un abbraccio totale – perché affettivamente è il gesto più suggestivo l’abbraccio. E l’infelicità è sempre un di meno, quando manca qualcosa, quando ti fissi su qualcosa che è meno del tutto. Infatti, il peccato si dice defectus, deficienza, venir meno, anche ἁµαρτία (amartia) vuol dire la stessa cosa. È un di meno perché il peccato cristiano non è contro la legge, ma è contro la realtà. Questo alla faccia di tutti i moralismi e i legalismi, l’ateo non è uno che nega Dio, è uno che nega la realtà, che perde pezzi. E quindi deve reprimere il proprio cuore, l’ampiezza e l’audacia del desiderio. Questo è il respiro che porta Cristo nella vita.
E dove è che ti raggiunge questo respiro?
Dov’è nel mondo questo abbraccio totale?
Dov’è che c’è gente che conta perfino i capelli del capo?