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Omelia Don Carlo 26 novembre 2019

Omelia 26 novembre 2019

“La testa della statua era d’oro, i piedi di ferro e di argilla”.

Immagine icastica, potente, drammatica di ogni cosa e di ogni opera umana (che) è come quella statua. La testa d’oro, bella, preziosa, desiderabile, piena di promesse, ma ogni cosa è un’opera “dai piedi di argilla”: è fragile, è precaria, andrà in pezzi.
La prima di queste opere è la nostra stessa persona. Il nostro corpo che risplende di salute e di giovinezza, ma c’ha i piedi “di argilla”: prima o poi, davanti ai tuoi occhi, viene meno.
E vien l’angoscia al solo pensarci! Ti passa la voglia di iniziare una cosa nuova, di fare. Perché con l’angoscia non vivi, però viver devi!
E come fai ad affrontare l’angoscia?
La prima opzione, la più pop è il non pensarci, evitando sistematicamente tutte le cose che ti danno angoscia e così, prima o poi, eviterai tutto perché ogni cosa – ogni cosa, anche la più piccola! – c’ha “i piedi di argilla”.
E trovarti senza più nulla da amare è l’angoscia peggiore.

È qui che si inserisce la sfida, la seconda opzione dell’Apocalisse:
“Sii fedele e ti darò la corona della vita”.
“Sii fedele” – vivi di fede – (e) “avrai la corona vittoriosa”.
La fede è una vittoria sull’angoscia, non (è) l’eliminazione dell’angoscia – è impossibile! – ma ti dà il potere di viverla (l’angoscia), di attraversarla senza evitare le cose angoscianti, crescendoci dentro, sentendo che tutte le cose, anche quelle che ti si sbriciolano davanti, addosso, sono per la tua realizzazione.
C’è dentro qualcosa in cui tu ti vedi crescere e diventare più te stesso. Questa è la sfida della fede.

Come accade? Accade come è accaduto la prima volta duemila anni fa sul Calvario: (non c’è) più angoscia di quella e più vittoria di quella. Altrimenti, perché ogni mattina noi siamo qui ad annunciare quell’angoscia e proclamare quella vittoria?

Omelia Don Carlo 24 novembre 2019

Omelia 24 novembre 2019

C’era una scritta sulla croce: “Costui è, il re de Giudei”.
L’ha fatta scrivere Pilato, ma per Lui è soltanto una provocazione lanciata in faccia ai Giudei, per umiliarli: “È questo il vostro re?”
Perché a Pilato che lui sia re o no non importa nulla; anzi, è sicuro che non lo è, il re è a Roma.
Come anche la gente che è lì, la folla, i soldati.
Cosa importa sapere se quello è re o no? È da ridere.
A me, invece, importa. A voi importa.
Per noi non è uguale se Gesù è o non è re perché il re, in quella cultura, è il plenipotenziario: quello che ha potere su tutto il regno, cose e persone.
Non è secondario per me sapere se il potere ce l’ha Cristo risorto o no.
Se ce l’ha Cristo risorto il mio destino è l’eternità, cioè veder fiorire la mia bellezza, anche quella del mio corpo che si disfa, come il corpo di Maria Teresa, ferito, fragile e precario fin dalla nascita.
Se Cristo è il re, il mio corpo e il suo – quello di tutti noi – sarà perfetto, splenderà per l’eternità della sua vitalità.
Se, invece, Cristo non è il re, il re sarà il caso maledetto o “fortunato”, sarà la natura illusoria e poi matrigna.

Ma Chi domina la vita?
Chi ha il mano il mio essere e l’essere di Maria Teresa in questo momento e per sempre.
Non è secondario se in questi segni, attraverso queste parole,
se queste parole sono sacre o no, se attraverso questi segni, se sono sacri – cioè “sacramenta”, “mysteria” – oppure se sono vuoti, per modo di dire.
Cambia tutto seguire l’Uomo della vita: io cambio faccia, io acquisto un tono di sfida e Maria Teresa, quando potrà rendersi conto di quel che le è successo, avrà un’altra faccia. Sarà raggiante verso il futuro e il futuro sarà per lei, non contro di lei.
Il bello è che l’irruzione di Cristo risorto non è per dopo, per un’eternità dopo, un’aldilà e qui sarebbe solo una cosa spirituale come tanto purtroppo si è sentito dire anche nei secoli passati in tanti correnti di cristiani che rimandavano sempre tutto a dopo. Il bello, la gloria – abbiamo prima recitato il gloria – [la gloria] di Cristo viene anticipata adesso, irrompe adesso, il cambiamento, la rinascita, il potere di Cristo risorto è un potere che già comincia a scalfire il presente.
Ci sono già le prime gemme di primavera. Cos’è questo cambiamento, quali sono i frutti del potere di Cristo, della libertà di Cristo?
Nella nostra vita che già vediamo albeggiare che domandiamo, che vorremmo far presentire nel nostro affetto mentre abbracciamo Maria Teresa.
Sono descritti per intuizione nei riti esplicativi – riti esplicativi si chiamano quelli che facciamo adesso – come è poi la nostra vita, la nostra comunione esistenziale, affettiva, intensa, intelligente, acuta, motivata che può farglieli presentire e farglieli anche desiderare quando avrà l’uso della ragione nella libertà, sarà in grado con la sua libertà di aderirvi con tutto il cuore o continuare ad cercare fino a quando non aderirà più facilmente alla novità di Cristo risorto.

Omelia Don Carlo 22 novembre 2019

Omelia 22 novembre 2019

“Voi avete fatto del tempio un covo di ladri”.

Stesso luogo, due esperienze opposte. Perché?
L’esperienza non dipende dal luogo in cui la fai, ma dal modo con cui tu ci vivi in quel luogo. “Bene” o “male” non stanno nelle cose, in una casa, in un tempio, stan dentro il cuore e ti si vedono nello sguardo.
Per gli antichi c’era sempre il sacro e il profano, cose buone in sé e cose cattive in sé. No! Dipende dal cuore e dallo sguardo, dallo scopo che hai tu, ciò da cui ti aspetti la felicità, come tu guardi cose e persone.
Qual era lo scopo del tempio?

“La mia casa sarà casa di preghiera”.
Cioè un luogo per cercare il Mistero, perché se c’è una cosa chiara che ha un ebreo è che “non di solo pane vive l’uomo”: la prima frase gridata in faccia al Tentatore da Gesù, dopo quaranta giorni nel deserto. L’uomo ha una fame infinita, il mondo intero all’uomo non basta. E l’uomo cosciente si sveglia al mattino per bruciare il mondo, spremerlo per scovare il Creatore del mondo. Il tempio è “il” luogo dedicato a questa ricerca, è come il paradigma di questa ricerca, che rende sacro ogni altro luogo dove l’uomo vive per cercar Dio.
L’ebreo Lo cerca dappertutto, in tutte le cose, in tutte le persone e le guarda così, come creature e tracce di Dio, segno e, in quanto tale, ogni cosa è bella, è bello che ci sia! (L’ebreo) è grato di ogni cosa.
Lo sguardo di un ebreo che cerca Dio, sulle cose, è pieno di gratitudine per il fatto che ci sono, perché sono una traccia. Invece, per il ladro è il contrario, perché il ladro si aspetta la felicità dalle cose e scarica sulle cose tutta la possessività, la sua felicità. Siccome le cose sono piccole – piccole! – non lo saziano mai, allora ha sempre uno sguardo possessivo, ossessivo e continuamente deluso e (ha) sempre un tono lamentoso – lamentoso!
Qual è lo sguardo vero sulle cose? Lo sguardo dell’uomo che “preme” di fronte alle cose e che ne cerca il Creatore – ed è colmo di gratitudine – o lo sguardo del ladro, possessivo, che le “spreme”?
Noi questa mattina lo decidiamo e questa sera sapremo rispondere.

Omelia Don Carlo 21 novembre 2019

Omelia 21 novembre 2019

“Alla vista di Gerusalemme Gesù pianse sulla città”.

Ma cosa ha di prezioso quella città da far piangere così Gesù?
Gerusalemme è il luogo dove Dio si rende presente per gli Ebrei, l’unico luogo, perché ad un ebreo non basta un Dio esistente, lo vuole qui presente. Per un ebreo, un mondo non abitato da Dio non è abitabile dall’uomo. Questa è la forza di un ebreo: che lui sa dove Dio abita e dove Dio si incontra.
Ma questa è anche la debolezza di un ebreo! Come dice il pianto struggente, lacerante, di Gesù al tramonto su quella città dorata (quante volte l’ho vista!) perché – lo dice Lui – “I tuoi nemici non lasceranno in te pietra su pietra”.
Perché Dio abita in una città distruttibile, che fu distrutta nel 70 da Vespasiano e Tito; ne è rimasto un pezzo di un muro occidentale lasciato lì per piangere.
Perché gli ebrei piangono disperati per tutta la storia?Perché da quel giorno della distruzione – ecco perché piangono – Dio non si può più incontrare.
Nessun uomo lo potrà mai più incontrare, mai più vedere. Perché solo lì, in quella città, tra quelle mura, Dio si può incontrare.

È su questo pianto sconsolato che erompe la speranza cristiana, iniziata dalla festa di oggi: Maria presentata al tempio perché diventasse lei il tempio di Dio nel mondo, la sua carne, ma soprattutto il suo cuore e la sua libertà. Perché diventi io, perché diventi tu, la città e il tempio indistruttibile. Perché la città di pietre si può distruggere, ed è stata distrutta, ma la città dell’io, il cuore di un uomo, la libertà di un uomo sono spirito, sono indistruttibili.
Gli arieti romani – ho riletto la storia dell’assedio terribile – hanno frantumato le pietre di quelle imponenti mura, ma la croce – il cuore di Gesù, la Sua libertà e il Suo amore sulla croce – i Romani non l’han potuto ridurre in pezzi. Perché il cuore non è di pietra! La mia dignità, la tua stanno tutte qui: nell’essere noi, la città, il tempio di Dio dentro il mondo.
In questo cuore, nel mio e nel tuo, gli uomini possono veder Dio. Questa è la mia grandezza. Quando dimentico questo, io perdo la stima di me stesso, mi misuro con dei parametri banali e ricomincio a sperare in una città di pietra – o il mio cuore è diventato un cuore di pietra.

Omelia Don Carlo 20 novembre 2019

Omelia 20 novembre 2019

“Senza dubbio il Creatore del mondo e dell’universo vi ridarà la vita”.

Dice questa madre ebrea ai figli torturati a morte. Ma come fa a dire senza dubbio? Come fa ad essere certa una donna ebrea? Che cosa ha visto? Che segni ha visto per essere certa che c’è la risurrezione? E un cristiano come fa ad essere certo che Gesù è risorto? Ad avere quella certezza che gli cambia, gli fa esplodere, tutta la vita?
Perché la certezza della risurrezione a me cambia lo sguardo, su tutto, ma lo vedo innanzitutto sulle persone che amo. Perché se Cristo è risorto, io le posso amare per sempre; se non è risorto, le posso amare solo per adesso.
Questa certezza decide l’intensità e la libertà del mio amore. Perché il “per sempre” mi infiamma, il “per adesso” mi ricatta. Il “per sempre” non me lo toglie nessuno – sono libero! -, ma se è “per adesso” prima o poi lo perderò, qualcuno me lo toglie.
Quando io mi spengo, o sono sotto ricatto, è proprio perché non sono più certo della risurrezione di Cristo. Io tocco con mano che senza la coscienza vivida di Cristo risorto, mi si “snerverebbe” la vigoria cristiana e perderei la capacità di sfida al cuore di ogni uomo che incontro.