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Omelia Don Carlo 23 febbraio 2020

Omelia 23 febbraio 2020

“Il mondo, la vita, la morte, il presente, il futuro: tutto è vostro!”.

Come fa Paolo a dir che tutto è mio?
Se ci penso, niente è veramente mio. “Il mondo”, ma io sono un frammento nell’universo, come faccio a dire che è mio?
“La vita” mi è data, in un istante, ma la posso perdere in un altro istante. “Il presente”: il presente dura un istante e poi?!
“Il futuro”: che ne so io di come sarà il mio futuro, mi guardo indietro e non è mai stato come l’immaginavo.
Io, realisticamente, non ho potere su niente, ma qui sta l’imbroglio, nella parola “potere”: è il pensare che qualcosa è mio perché è in mio potere. Ragazzi, fosse così, niente sarebbe mai veramente mio perché neanche io sono mio – dice Gesù, glieLo leggi in faccia.
Gesù che dice con la sua faccia?
(Dice): “Non è mio ciò che io possiedo, è mio, veramente, solo Chi mi possiede, Chi mi fa in questo istante, Chi mi dà, in questo istante, un istante di vita perché io cerchi la Sua faccia, per vedere la mia faccia nella Sua: per capir me devo vedere la Sua (faccia)”.
Io son dentro la Sua faccia, dentro al Suo cuore. Mi fa Lui, mi ha fatto a Sua immagine: la mia bellezza e la mia grandezza le vedo solo nella Sua faccia, in quello che Lui fa.
Il mio posto nell’universo lo capisco solo se guardo Lui.
Solo Lui è mio per sempre, solo Lui io non perderò mai, solo Lui non mi abbandonerà mai.
Mai una madre e un padre, se potessero, abbandonerebbero il figlio. E io posso pensare che Dio sia meno di una madre e di un padre?!
Lui è “il” Padre, Quello radicale, Quello “dei cieli” – dice Gesù – e io ho pace solo se mi immedesimo in Lui, nel Suo sguardo, se mi guardo rispecchiato nel Suo.
Solo nello sguardo del mio Creatore io mi capisco, mi sento libero, perché posso dire davanti a Lui: ”Io sono Tuo, tutto è Tuo!” e, perciò, tutto è veramente mio: tutto è mio se è veramente Tuo!

Io, ogni giorno, posso essere pieno di sfida, come Paolo, se ritrovo questo sguardo e questa coscienza.
Dove, poi, lo ritrovo (questo sguardo) io lo so e tu lo devi sapere per te e non è mica detto che ritroviamo tutti, nello stesso segno, lo stesso punto di luce.
San francesco, da giovane, pensava di trovare questo sguardo – diceva: “Deus meus et omnia!”: solo il mio Dio è tutto! – e “dove lo trovo il mio Dio?”, diceva lui in “Evangelio sine glossa”: nel Vangelo senza commento, quindi senza le prediche dei preti – era sano! – e senza i catechismi delle parrocchie – altrettanto sano!
E ci ha provato, per più di vent’anni, a cercare il suo tutto lì; solo che, man mano che è andato avanti, gli si è spalancato lo sguardo e ha capito che quello sguardo lo poteva trovare in mille altre cose: nelle mille altre cose che per anni aveva buttato in mano a suo padre, al Vescovo, quando si era denudato perché pensava che le creature lo allontanassero, lo confondessero e, invece, ha scoperto che Dio passava proprio da tutte le creature.
Ognuno di noi deve sapere quali sono i punti di luce in cui intercetta quello sguardo che gli fa dire: tutto è Tuo e, perciò, tutto è mio.

Omelia Don Carlo 21 febbraio 2020

Omelia 21 febbraio 2020
“La fede senza le opere è morta”.

Ché sono le opere che mostrano la vitalità della fede. Ma quali opere? Cos’è che mostra che la mia fede mi cambia la vita? Cioè cos’è veramente, qual è la natura di un atto di fede? “La fede senza le opere è morta”, ma la fede non è un fare di per sé, non è un operare, la fede è un conoscere, innanzitutto. La fede cristiana non è un fidarsi – actio fiducialis diceva Lutero, oppure l’Islam: abbandono totale dicono i musulmani.
La fede cristiana ha anche questo, ma come conseguenza. È innanzitutto un riconoscere: il verbo – c’è un verbo tecnico – è exἐξομολόγησις (exomológēsis): ex-omologare. È un termine che si usa nello sport: omologare un risultato sportivo, cioè riconoscere il fatto accaduto – il record – misurarlo, verificarlo e inserirlo nella classifica. E ti rivolta la classifica, come quando… Avete presente quando mettete in un foglio Excel un nuovo dato oppure invertite l’ordinamento dati “AZ-ZA” e si ribalta tutto, avviene una rivoluzione nell’ordine precedente. Ecco, questa è la fede: riconoscere un record, metterlo dentro e ti rivoluziona la vita.

Che cos’è un fatto che rivoluziona la vita? È il fatto di Cristo risorto: questo è il “record cosmico”, mai successa una cosa così! Se lo metti dentro, è impossibile che l’ordine dei fatti e dei tuoi pensieri rimanga uguale. Se avviene questa rivoluzione – dice Marco citando le parole di Gesù – “Chi perde la vita la salva”: la vita diventa così bella, così grande, così tua, che la puoi donare e non la perdi più, perché questa è la dinamica della fede, questa fede rivoluziona veramente la vita. Se tu non la “metti dentro”, sì, la fede ce l’avrai ancora, ma è morta e, prima o poi, come tutti i morti, comincia a puzzare dentro la tua vita.

Omelia Don Carlo 20 febbraio 2020

Omelia 20 febbraio 2020

“Diceva loro che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto”.

E perché soffrire molto? Ma perché tutti gli uomini soffrono, poco o tanto!
Primo, perché è la natura nostra che ci fa soffrire, perché – come dice Leopardi – è “matrigna”: non mantiene le promesse, ci tradisce. La natura non è una persona, (è) un sistema di forze cieche e sorde, che non ascolta il grido doloroso del nostro cuore. La natura è temibile, i pagani la temono oppure la adorano. Gli scienziati moderni la studiano per dominarla, per obbedire al primo comando del Creatore: “Crescete e moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela”.

Ma c’è anche tanto dolore che noi patiamo, non per la natura umana, ma per la storia, per la libertà degli uomini che possono fare tanto male, oltre che tanto bene. E Dio cosa c’entra con tutto il dolore della natura? Per gli atei non c’entra nulla perché non c’è; per le religioni tutto vien da Dio e anche il dolore vien da Dio, anche il male vien da Dio. A me questo solo pensiero mi ha sempre angosciato: il solo pensiero che il dolore venga da Dio è sempre stato un incubo terribile, mi fa scoppiar la testa, non sono mai riuscito a pensarlo.

E per Gesù – l’unico Dio che io conosca è Gesù – che cos’è il male, (che cos’è) il dolore? Lui dice che deve soffrire molto, Lui non lo evita, non lo scarica, ma lo vive tutto.
Ma questo – che Gesù il dolore lo porti, lo viva e non lo fugga – cosa cambia? Che novità porta? Che novità c’è dentro l’esperienza dolorosa di Gesù?
La mia fede deve saper rispondere a questo, sennò è una fede vana, una fede disumana. Non potrebbe essere la mia fede se dentro il dolore di Gesù non ci fosse la risposta al dolore stesso. Ma la fede è una questione non collettiva, ma personale: e la tua fede cosa risponde? Che novità c’è nell’esperienza dolorosa? Che luce c’è, che traccia di vittoria c’è sul dolore?

Omelia Don Carlo 18 febbraio 2020

Omelia 18 febbraio 2020

“Non comprendete ancora?”

Cos’è che non ci stava nella testa? “Fate attenzione e guardatevi dal lievito”, grida Gesù. E loro guardano, appunto, straniti e confusi, non capiscono cosa c’entri il lievito. Ma Gesù lo conosciamo, non è che molla una volta che ha dato il colpo, ne dà il secondo, il terzo, il quarto… Risponde più piccato ancora:
“Ma non capite ancora? Non comprendete? Ma è quel che vi ho detto l’altro giorno, quando ho parlato – vi ricordate qualche giorno fa? – della purità e dell’impurità: che non vengono da fuori dal cuore, ma vengono da dentro, sono come – ecco – un lievito, un enzima che vi fermenta dentro, vi è entrato nel cuore e ve lo rovina!”. E loro non capiscono di che lievito stia parlando, tanto sono fissi, han preso una sola pagnotta e non ce n’è per tutti, chissà per quanti giorni.
Allora glielo ribatte in faccia: “Quante volte ve l’ho detto, parlo del lievito dei farisei, che ho sempre chiamato ipocriti” – ὑποκριτής (hypokrités) vuol dire “sotto pensiero”, ha un pensiero sotto-sotto l’ipocrita. Ma non vedete che questa è gente che sotto-sotto ha un pensiero diverso dalla faccia? Non è come appare. Questa è gente divisa dentro, tra la faccia e il cuore, tra ciò che dice e ciò che ama. Hanno un io disgregato, che nel tempo va in rovina, questa è gente che non ama ciò che pensa e non pensa ciò che ama. Si distruggono, anche perché uno non può durare così lacerato per tutta la vita. Alla fine noi siam fatti per l’unità e quando siam divisi dentro, prima o poi, il nostro inconscio – esiste! – ha un meccanismo che tende a prendere una piega: uno finisce o col pensare ciò che ama o con l’amare ciò che pensa. Non può durare a lungo nella dissociazione. E così perde un pezzo di sé: o perde ciò che ama o perde ciò che pensa – o perde il pensiero o perde l’amore.
Ecco chi sono gli ipocriti, è gente che vive senza mettere mai il cuore in quel che dice e in quel che fa. Ma il cuore, se tu ce lo metti, ti salva sempre anche quando sbagli, anche quando ami una cosa sbagliata, è come il Tom-Tom, te lo fa capire perché tu sei fatto per amare, puoi amare una cosa sbagliata, ma se ami ti salvi e, prima o poi, la smascheri. Ma se tu fai una cosa senza amore, anche la cosa più sacrosanta al mondo, quella cosa per te è già l’inferno qui.

Omelia Don Carlo 17 febbraio 2020

Omelia 17 febbraio 2020

“Prima di essere umiliato, andavo errando”.

Come è acuto e realista, che respiro dà questo salmo? Prima di essere umiliato ero in confusione totale, adesso che ho subìto l’umiliazione è tutto chiarissimo nella mia testa. Ecco, per noi è il contrario: a noi l’umiliazione manda in confusione, fa saltare gli equilibri, gli schemi, le apparenti chiarezze. Perché? Che cos’è l’esperienza dell’umiliazione? Humus vuol dire terra, è un’esperienza che ti atterra, ti riporta terra-terra, alla tua origine, alla “Madre Terra”. L’umiliazione mi ricorda che io sono figlio, che sono fatto e mi costringe a chiedermi: “Ma da chi sono fatto? Di chi sono figlio? Perchè sono stato fatto vivere in questo mondo? Che ci devo fare di grande, io, in questo mondo?”
L’umiliazione è l’esperienza che ci riporta continuamente a destare – che ci desta – le domande religiose, che fa iniziare il cammino per scoprire perché siamo al mondo: per cercar Dio. Perché se noi passiamo la vita su questa terra senza cercare Chi ci fa, la vita la sprechiamo. Questo cammino inizia solo ogni volta che c’è un’esperienza di umiliazione, che non vuol dire – non siamo stupidi! – un’esperienza dolorosa. Non è mica vero! L’umiliazione è un’esperienza che ti rende umile, “terra”, ti fa ripartire da quel che sei. Quelle (le esperienze) dolorose, normalmente, invece, incattiviscono, abbruttiscono, mandano in confusione; non è mica detto che devono essere di dolore – per uno come me che sono uno iper-reattivo di fronte al dolore, la prima cosa è che vado in confusione.

L’umiliazione, per me, è fatta dalle esperienza belle: la gioia, il dolore, l’amore mi riempiono di stupore come un bambino e mi spingono a farmi queste domande. Altrimenti noi, finché non siamo umiliati, guardiamo la terra dall’alto in basso, facciamo da padroni su tutto, ci comportiamo come se tutto il mondo dovesse rendere conto (a noi), noi chiamiamo in giudizio la terra, il mondo, tutti, perfino Dio, perfino noi stessi: siamo spietati anche con noi stessi quando non siamo umili. Dimentichiamo la nostra origine che, invece, è quella che dobbiamo recuperare, come in questo Salmo che dice:

“Bene per me se sono stato umiliato, così imparo i Tuoi decreti”.
E scopro che l’umiltà è la cosa più bella, ma l’umiltà più bella non è quella del bambino, come dicono le maestre: “Ah, i bambini sono belli perché loro sono spontanei”: è una stupidaggine! La spontaneità non ha alcun valore. Che merito hanno? Viene spontaneo ai bambini stupirsi, essere umili.
L’umiltà che vale non è quella del bambino, è quella dell’adulto, dell’anziano, che decide di spalancare gli occhi, di stupirsi, perché ne è cosciente e perché lo vuole veramente. Questo è l’uomo più affascinante – il bambino lo fa meccanicamente e gli viene spontaneo, che merito ne ha?! -: è l’adulto che ha quella posizione, ma volendola e decidendola. Questa è la cosa più grande che c’è nel mondo.