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Omelia Don Carlo 26 gennaio 2020
Omelia 26 gennaio 2020
La prima di lettera di Paolo ai Corinzi descrive la situazione a Corinto quando arriva Paolo. Si era convertito qualche anno prima, ma non è andato subito in missione – figuriamoci se lo mandavano in giro così! Certamente convertendosi aveva cambiato intenzione, ma non certo la coscienza. L’intenzione, la direzione, la posizione la cambi in un istante, conversio vuol dire dietrofront, ma il metodo di vita no, il cervello è plastico. A lui veniva spontaneo fare esattamente come aveva sempre fatto. Cioè usare come metodo di vita la violenza, se lo lasciavano fare, se andava in giro subito, avrebbe fatto l’ISIS cattolica,
avrebbe usato la stessa violenza di prima, quando fece lapidare Stefano, per diffondere il cristianesimo. Perché il cervello è plastico, prende delle pieghe, ci vogliono anni per rimodularlo. E lo mandano per tre anni in una comunità molto periferica, all’inizio del deserto dell’Arabia, in una comunità di cristiani. E sta là tre anni ad immedesimarsi pazientemente nella coscienza e anche nel metodo con cui si diffonde il cristianesimo. Poi ancora lo fanno andare tre settimane, 18 giorni, a Gerusalemme ad incontrare, dice lui, le tre colonne, cioè Pietro Giacomo e Giovanni, gli fanno gli scrutini – appunto – per diciotto giorni. E alla fine gli danno il “dottorato”, gli hanno stretto la destra e gli hanno detto: “ok adesso sulla sostanza ci siamo, puoi andare”. E lui va a Corinto, sono circa 15 anni dopo la risurrezione, siamo nel 41-42. E trova una comunità fervida: ci sono vari gruppi, vari carismi, vari movimenti: quello di Cefa, quello di Apollo e altri.
E lui cosa porta di nuovo in questa comunità molto fervente, molto pluralistica?
Li guarda e dice subito: “Qui Cristo non mi ha mandato a battezzare nessuno, ma ad annunciare.”
Eran già tutti battezzati da 15 anni; battezzati, cresimati, comunicati, vaccinati, tutto a posto! Tutti avevano tutta già la struttura cristiana impiantata. Hanno tutto, ma lui li guarda in faccia e non hanno la coscienza di questo tutto, non han chiaro che novità porta Cristo. Hanno tutta l’impalcatura cristiana, ma è come se il contenuto fosse un “findus”, un surgelato. Non ne hanno coscienza, non è vivo! Hanno la forma cristiana, ma non hanno coscienza di cosa cambia Cristo nella vita. Hanno la struttura cristiana, ma pensano e si muovono ancora come i pagani, fanno tanto e tali domande, fanno una confusione, c’era una immoralità, pensate che il capo della comunità era incestuoso – per dirvi. Era tutto normale.
Che cosa cambia Cristo nella vita? Non cambia appena la forma. Ci può essere una forma cristiana con dentro niente di cristiano. Cosa cambia Cristo nei primi quattro che in Galilea lascian le reti, i garzoni, il padre, e lo seguono dice il Vangelo di Luca?
Cosa è cambiato in quei primi quattro, Simone, Andrea, Giacomo e Giovanni nel rapporto con le mogli, con i figli, con gli amici del paese, con i clienti a cui vendevano sempre il pesce?
Cosa cambia nel modo pensare il lavoro, il futuro, il dolore, la politica?
Devono capire che cosa cambia perché qui non siam mica a Gerusalemme, dove tutto è religioso, formattato con i 613 precedetti giudaici. Qui siamo nella Galilea delle genti, siamo a via del mare, quella va al largo dalla Siria, va giù fino a Cesarea marittima, attraversa il Libano fino al mare. Lì la maggior parte della gente è non-circoncisa, sono i “goyim”, quelli non-circoncisi, i pagani, e lì si deve vedere se Cristo cambia o non cambia, lì non c’è il format giudaico. Che cosa è cambiato in quei quattro lì?
Il popolo… Dice: che si compia la profezia.. “Nella Galilea delle genti”-i “goyim”, non-circoncisi guardati in modo sprezzante- dice: “[il popolo vide] una luce, una grande luce è comparsa nella terra”. In faccia ai quei quattro c’è una grande luce e la luce significa che a loro è cambiata la coscienza. Stanno con Cristo, ma incominciano a intravedere cosa cambia Cristo, glielo si vede in faccia.
E a noi, a me e a te, cos’è che si vede in faccia? Noi siamo nati in terra cristiana, formattati da duemila anni, con un peso enorme di tradizione cristiana. Che cosa cambia, che cosa porta di nuovo Cristo nella vita reale e quotidiana aldilà del .. mille parole.
Noi usiamo tutte le parole cristiane, facciamo la liturgia, reciteremo il Credo, tra noi usiamo sempre parole che derivano dal catechismo cristiano.
Che pena io provo incontrando cristiani su cristiani che li guardi, ci parli e pensano da pagani. Che entusiasmo, invece, quando incontri dei cristiani coscienti che palpitano della novità cristiana, del fuoco.. Si vede che quello che hanno nella coscienza, cambia loro la pelle. Glielo vedi in faccia, lo senti nel tono della voce, lo percepisci nella vibrazione affettiva. C’è gusto a star con questi, la cosa più gustosa ed intrigante, nella mia vita, è discutere e paragonarmi – discutio vuol dire scuotere l’albero e far cadere i frutti, quello che si fa con l’ulivo, con le noci, discutio vuol dire questo. Ci sono proprio delle tecniche, anche nelle macchine agricole per raccogliere certi frutti, terremotano l’albero. Ecco, il dialogo è vero se ti fa rendere conto dei frutti che Cristo porta nella vita. Sono i frutti, i fiori e i frutti, che danno gusto, le forme in sé a me poco.
Omelia Don Carlo 24 gennaio 2020
Omelia 24 gennaio 2020
“Gesù salì sul monte e chiamò a sé quelli che volle”.
Perché volle quelli e non altri? Gli sono piaciuti quelli, perché chi ama ha un solo criterio nella scelta, sceglie chi gli piace.
Se glielo chiedi non sa dire perché gli piace quello più di un altro.
Infatti quando non capiamo le scelte di Dio è perché dimentichiamo che Dio è
un innamorato, Dio è amore. Non è un Essere onnipotente, è amore.
Infatti “ne scelse dodici ed essi andarono da Lui”. Perché andare da Lui era l’unico modo per capire le ragioni di quella scelta. Era di guardarLo negli occhi: “ma perché Te hai scelto noi? Cosa ci vedi Tu in me?”
E’ solo guardandoLo che vedevano di riflesso quel che vedeva Lui, vedevano la bellezza che Lui vedeva in ognuno di loro.
Più si guardavano specchiati nel Suo sguardo e più vedevano crescere la loro autostima, come dicono gli psicologi moderni. Si stimavano come Lui li stimava e cominciavano a dire “io” con il gusto con cui lo diceva Lui.
“Fu detto ma io vi dico”, si sentivano portatori di una novità esattamente come Lui. E si trovano addosso un fuoco che li lancia, li lancia nel mondo.
Tanto che Lui dice che “li costituì e li chiamò apostoli”.
Απόστολοι vuol dire lanciati come un missile. Si sentivano lanciati nel mondo ma non da un comando, un comando non ti lancia, ti costringe ma non ti
infiamma. Lanciati da un fuoco che Lui gli accendeva dentro.
La mossa, la forza gli veniva da dentro non dall’esterno.
Infatti quando noi perdiamo lo slancio non è per una disobbedienza al comando di Cristo ma per una dimenticanza del Suo sguardo.
Lo sguardo di Cristo è lo sguardo di Uno innamorato di me che mi ha scelto.
La vera questione di ogni mattina per me, l’urgenza di ogni mattina è dove intercetto oggi quello sguardo?
In quali parole, in quali sguardi, quali gesti, quali affetti, in quali
esperienze?
E’ questa la partita di una giornata, quello che mi fa partire, che mi lancia nel mondo, sennò sono tutto frenato, tutto indietro, tutto in difesa.
Omelia Don Carlo 23 gennaio 2020
Omelia 23 gennaio 2020
“Lo seguì molta folla dalla Galilea, dalla Giudea, dall’Idumea, dal Libano”.
Lo schiacciavano, lo toccavano. Ma perché tutta quella folla cerca Dio? Che bisogno riversa su Gesù? Stamattina io perché cerco Gesù? Quali sono i bisogni che io offrirò a Lui?
Devo aver coscienza della mia domanda per verificare la Sua risposta. Come il cercatore d’oro che va nell’El Dorado a cercare l’oro: se non sa come è fatto l’oro, può affogare in un mare di pepite e non se ne accorge! Se non ha coscienza di ciò che cerca, non lo vede.
Quante volte vedo cristiani delusi, amareggiati, stizziti, anche qualche giorno fa una persona che piangeva arrabbiata perché diceva che manca Cristo, che Cristo la delude, non le dà il centuplo. Era evidente che non aveva coscienza del suo bisogno: chiedeva a Cristo ciò che Cristo non è venuto a portare, e non gli domandava ciò che Cristo è venuto a portare. Non è mai Cristo che manca. È la coscienza del nostro bisogno che non ce Lo fa riconoscere.
Certo che è Lui che ci svela fino in fondo di cosa abbiamo bisogno, quando lo incontriamo, ma in quell’istante dobbiamo decidere se guardare in faccia il nostro vero bisogno oppure se continuare stizziti, delusi e arrabbiati, tutti fissati sull’idolo che abbiamo in testa.
Per riconoscere Cristo dobbiamo essere disposti nello stesso istante, o un attimo prima, a riconoscere veramente noi stessi. Questa è la drammaticità dell’incontro con Cristo, che ci dà la possibilità di prendere coscienza ma non ce lo fa capire Lui. Capirlo possiamo capirlo solo noi se lo vogliamo capire.
Omelia Don Carlo 22 gennaio 2020
Omelia 22 gennaio 2020
“I farisei e gli erodiani tennero consiglio per farlo morire”.
Perché è una minaccia, incombente! Una minaccia a cosa?
“È lecito di sabato fare del bene e salvare una vita?”
Gesù è una minaccia per il sabato che, per loro, è la legge più sacra, è la loro sicurezza. Perché è gente che è sicura di ciò che dice la Legge, loro non hanno certezze personali, non hanno esperienze personali che li rende certi. Si sentono certi se sono autorizzati ad essere certi, se c’è un altro o una legge che li autorizza ad essere certi.
La Legge dà loro la certezza di fare la cosa giusta. Perché a loro non interessa far le cose vere, buone e belle; a loro interessa fare le cose giuste. Sono sensibili alla legalità, alla liceità più che…ma sono insensibili all’umanità. Loro l’umano lo feriscono, lo intristiscono. Infatti Gesù dice che “Li guardò, indignato, rattristato per la durezza del cuore”.
Non dice che sono immorali, che sono cattivi, no. Dice che sono insensibili. Non è gente che odia gli altri è gente che gli altri non li sente. Non sente più né la gioia né il dolore degli altri. Ecco quello che intristisce Gesù: che sono insensibili alla felicità o all’infelicità degli altri, sono come morti dentro. Sono Πόροςεv, incalliti dentro, Πόροςoi – terribile! – se fossero cattivi, come Paolo, in un istante si potrebbero convertire. Questi invece non devono convertirsi, devono essere rieducati a sentire l’umano. Non basterà una vita a questa gente (per far ciò).
Omelia Don Carlo 20 gennaio 2020
Omelia 20 gennaio 2020
“Perché i discepoli di Giovanni, dei farisei digiunano?”
Perché sono religiosi e sanno che “non di solo pane vive l’uomo, ma di ciò che esce da Dio”.
L’uomo religioso sa che ad un cuore umano cosciente non basta il mondo, sa che senza pane può anche vivere, ma senza Dio l’uomo piange. Digiuno e penitenza esprimono questa coscienza e questo pianto. “Ma perché allora i Tuoi discepoli non digiunano?” Perché questo a loro fa problema. Lo sanno bene perché si digiuna, quello che non capiscono è che ci sia qualcuno che si presume religioso e che non digiuna.
I miei discepoli non digiunano perché Dio è presente, finché lo Sposo è presente loro festeggiano. Io li ho chiamati per questo. Il compito dei miei discepoli nel mondo non è digiunare, ma festeggiare perché i cristiani non sono gente che credono in Dio, all’esistenza di Dio, ma credono alla Sua presenza. Per questo il tono di un cristiano cosciente è sempre un tono ultimamente festoso e vittorioso.
Come dice anche questo salmo così esplosivo, così controcorrente che fa bestemmiare gli uomini più religiosi – l’ho visto bene in Medioriente:
“Chi offre la lode e il sacrificio questo mi onora, chi invece piange e digiuna mi disonora”.
Questo dice Dio quando si rivela. Ma allora il cristiano è un uomo che piange o no? Cristo è un uomo che piange o no?
Cristo piange più di tutti gli altri, il cristiano piange più di tutti gli uomini, ma non per la stessa ragione, non perché gli manca Dio! Il cristiano piange perché agli uomini manca Dio, perché vede che gli uomini si affannano dietro a cose che non sono il “pane” di cui hanno bisogno. Il cristiano vede che anche agli uomini religiosi manca Dio, che Dio c’è ma non è qui. Come si vede bene al Muro del Pianto. Il cristiano è un uomo che – glielo vedi in faccia – dentro il cuore sa che fino a quando c’è un uomo nel mondo a cui manca Dio, il cristiano piange con lui.
È proprio strana la gioia cristiana, è una strana festa con lacrime, perché un uomo che non piangesse sarebbe disumano. La vittoria di Cristo risorto è strana perché Cristo risorto ha ancora le piaghe. È il contrario della gioia del mondo che è sempre un “aut-aut”: o delle lacrime disperate o una gioia cinica e insensibile al dolore degli uomini. Il cuore cristiano è un cuore cattolico che abbraccia tutto dell’umano: tutta la gioia e tutto il dolore. Il cristiano è un uomo che non sistema il mondo, lo abbraccia. Per abbracciare il mondo, il cristiano non ha bisogno che il mondo sia a posto, che sia senza lacrime, ha bisogno che sia di Cristo.