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Omelia Don Carlo 2 marzo 2020
Omelia 02 marzo 2020
“Siate santi, perché Io sono santo”, dice Dio agli ebrei.
Ma perché io devo diventar santo? Io voglio diventare me stesso! Mi interessa essere santo, solo se coincide con il realizzar me stesso.
Chi è il santo per gli ebrei? “Non rubate, non ingannate, non giurate il falso”: la santità per gli ebrei è un fatto morale, cioè un comportamento mio, l’azione di un uomo che si aspetta il bene dal suo impegno, dal suo sforzo, e che quindi punta e desidera solo il bene che lui fa, o che lui si merita da Dio. Questo è un uomo condannato alla meschinità dei desideri. Chissà mai che cosa attendi se punti solo a quello che è frutto del tuo impegno!
Qual è la rivoluzione di Gesù? Cosa è la santità per Gesù?
Non è un fatto etico, è un fatto ontologico, cioè che cambia l’essere prima del comportamento, non è un nuovo “fare”, ma un nuovo “essere” che con Lui entra nel mondo. Il santo è Gesù, il santo compiutamente realizzato, nuovo, l’essere nuovo nel mondo è Gesù risorto. Il santo è un uomo, prima che bravo, è un uomo vibrante di una vita nuova che irrompe da Lui nel mondo, nella mia vita e la trasforma. Trasforma la mia vita naturale, come quella di tutti, in una vita soprannaturale, in cui c’è dentro un’altra vita più potente.
Io sono e resto un povero uomo a cui è dato di partecipare del divino, vivo sulla terra di tutti, ma io ci vivo da Dio, cioè vivo come ci vive Gesù, questa è la santità.
Quali sono gli indizi? Da cosa si vede in te questa vita nuova?
Quali sono i frutti, per cui puoi dire è iniziata quest’avventura? L’esame di coscienza che la Chiesa ha sempre suggerito non è la ricerca dei peccati, ma la ricerca dei miracoli che fioriscono nella mia vita.
Omelia Don Carlo 1 marzo 2020
Omelia 01 marzo 2020
“Gesù fu condotto dallo spirito nel deserto”.
Nel deserto ci vanno i profeti, ma non vanno a cercar Dio, vanno a cercare la realtà. Dio lo trovano dappertutto, diventa evidente che Dio è dappertutto, tutti sono religiosi, tutti anche gli atei.
Ma un uomo sano, cosciente della sua umanità, non è innanzitutto interessato a Dio, gli interessa Dio se Dio è la realtà, tutta intera la realtà. Perché io desidero la realtà, le cose, ma non la superficie, la profondità, il punto da cui quella cosa viene. Ecco, nel deserto i profeti trovano la realtà, la natura, cioè le cose come le fa Dio, non ancora toccate, manipolate dalla civiltà o dalla cultura. Non ancora segnate dall’uomo, segnate solo dalla mano del Creatore.
E Gesù, un uomo vero cosciente di sé, a trent’anni va nel deserto come tutti i grandi profeti. E cosa ci scopre alla fine dei quaranta giorni?
Dopo aver digiunato quaranta giorni nel deserto – io avrei avuto fame anche prima, ma lui era tosto! – ma cosa sente, come sente quella fame?
Gesù sente la fame, sente il bisogno naturale innanzitutto di alimentarsi, scopre che Lui non basta a se stesso, ha bisogno dell’aria da respirare, un po’ di acqua da bere, un po’ di proteine, un riparo, s’ammala… Nel deserto scopre di aver bisogno di tutto e di non aver potere su niente. Gli salta tutta l’illusione che abbiamo tutti normalmente di aver in mano la nostra vita, di bastare a se stessi, nel deserto Lui tocca con mano che non si basta. Che i conti non Gli tornano, esattamente come non tornano a tutta la gente del mondo in questi giorni di panico per il Coronavirus. Tutti nel deserto! A tutti si impone la potenza della natura sulla civiltà e sulla cultura. C’è una realtà più grande del nostro conoscere e del nostro potere, del nostro controllo: la natura è misteriosa.
Stiamo facendo un salutare bagno di realismo, che i conti a noi ci sono saltati e questo ci cambia la concezione della vita. Non si torna più indietro dopo il panico di questi giorni, si è segnati per sempre nel cervello. Questo è un pensiero che stigmatizza, ne usciamo come Gesù uscì dal deserto: con una nuova concezione della vita, ci entrò in un modo e ci uscì in un altro.
Dice ancora Matteo: “Gesù fu condotto nel deserto per essere tentato”.
Ecco lo scopo del deserto! Ecco che cosa doveva imparare Gesù. “Tentato” non è tradotto benissimo, in greco c’è *πειρασθῆναι (peirasthēnai), essere sfidato a duello, essere sfidato a combattere, doveva capire che la vita è guerra, la vita è una sfida a duello, o l’ammazzi o t’ammazza lui. Questo è la guerra. Gesù scopre che la vita è guerra, è sfidato continuamente e in guerra nessuno sta mai tranquillo. Hai capito che il nemico c’è, non sai dove è, com’è, dove ti colpisce, ma c’è. Lì Gesù capisce che sulla terra i conti non ci tornano mai definitivamente. Mai. Non abbiamo il controllo di niente, la vita è drammatica sulla terra. Come dice l’ultima riga dell’ultima pagina della Bibbia nell’Apocalisse: “Maranatha”, “Vieni signore Gesù, vieni presto”, perché noi non la mettiamo a posto la nostra vita sulla terra.
Per Gesù dopo quaranta giorni questo è stato evidente e ha scoperto che la vita vera non coincide con la vita tranquilla e con la vita comoda. Ormai ha chiaro che vivere è combattere – combattere anche contro il Coronavirus! Perché noi non siamo fatalisti: le prime parole che dice il Creatore ai primi uomini (sono:) date un nome a tutti gli esseri, riempite la terra, crescete e moltiplicatevi, e dominate, soggiogate la terra. Dice letteralmente, non dice “abbandonatevi fatalisticamente”, “state alla realtà” – ma siamo scemi?! C’è da combattere, anche contro i virus perché la realtà è drammatica.
Lì diventa evidente per Gesù – lo si capisce da quello che farà e dirà – che la vita reale è una vita drammatica, e che la vita comoda invece è una vita tarocca. Quando i conti ti tornano, quando hai l’impressione che – come dice l’americano – “tutto ok!” , quando uno ti fa così quello è uno che non sta attraversando il deserto, non sta facendo il viaggio che fece per quarant’anni Mosè – era più testone, ci dovette mettere quaranta anni invece che quaranta giorni. Non stai facendo un viaggio nel deserto della realtà, ma ti stai facendo un viaggio di testa. Questa vita è uguale a prima, con Cristo o senza Cristo, questa è la vita reale, il resto è telenovela, TG Rosa.
Ma per un cristiano cosa cambia? Dentro questo dramma che è di tutti, Coronavirus è di tutti. Cosa porta Cristo di nuovo dentro questa vita drammatica? Questo però non è oggetto dell’omelia, di uno che parla agli altri, è oggetto interessante e intrigante di dialogo tra amici veri.
Omelia Don Carlo 28 febbraio 2020
Omelia 28 febbraio 2020
“Perché noi e i farisei digiuniamo molte volte?”
Perché siete religiosi e il digiuno grida di cosa ha fame l’uomo: ha fame di Dio. Senza pane l’uomo vive, senza Dio no. La vostra è la religione della mancanza di Dio, per voi Dio c’è, ma non è qui e la vita è segnata, definita da una mancanza. Avete sempre un tono dolente, insoddisfatto, lamentoso, risentito,
sempre lì a puntare il dito su quel che manca…Perché a voi manca sempre qualcosa, perché vi manca l’essenziale. Il digiuno esprime questo tono mancante, dolente, penitente, sempre un po’ “medievaloide”.
“Mentre i Tuoi discepoli non digiunano”.
(Dice Gesù:) “E certo che non digiunano! Perché non non hanno il tono della mancanza i Miei discepoli, loro vivono di una presenza. Guardateli, hanno la faccia” – appunto come dice Gesù – “di ‘invitati a nozze’. Non sono in lutto perché lo Sposo è presente ed è presente – non lo sanno, ma glielo dirò – fino alla fine del mondo”.
La fede cristiana non è una religione della mancanza, ma della presenza. Anzi – ho sbagliato! – non è neanche una religione: è una vita nuova e basta. E se Lui è presente, i cristiani hanno, come me, da quando l’ho incontrato, un solo problema: conoscerlo. Perché se è presente Lui, non è che è presente solo Lui, poi è presente tutto. Anche quel che manca, è presente!
Io ho intuito questo quando l’ho incontrato: che tutto viene dalla conoscenza, le cose più care che ho avuto son le cose che parlano di Lui: gli affetti, le parole, i libri. Sono le cose più care perchè son quelle che ti cambiano la faccia. Dopo quel momento, quell’esperienza, quella cosa, hai un’altra faccia – me lo dicono.
La faccia, da dolente diventa faccia festosa, cioè diventa faccia cristiana, veramente umana. Però queste cose forse è meglio non dirle, perché tanto non vi crede nessuno, neanche tanti cristiani vi credono.
Omelia Don Carlo 27 febbraio 2020
Omelia 27 febbraio 2020
“Che vantaggio ha l’uomo se conquista il mondo e, poi, perde se stesso?”
Il mondo cos’è? Un ammasso di cose, ma io sono una persona, io ho coscienza, il mondo no! Io ho pensieri, desideri, domande, il mondo davanti a me è un sordo-muto: non mi sente, non mi risponde. Le persone sì, mi sentono, mi capiscono, ma non mi rispondono, mi mostrano – come dice la Bibbia – l’abisso che han dentro. Il dialogo tra le persone dice la Bibbia è “abyssus abyssum invocat” – un abisso di desideri che invoca un altro abisso – e uno non può colmare l’altro.
E Gesù, in questa esperienza drammatica che un uomo cosciente fa – guardate il mondo, guardate gli uomini – cos’è Gesù in questo mondo? Cos’è per l’abisso di desiderio che ognuno di noi ha nel cuore?
La Quaresima ci è data per rispondere a questa domanda e per raccogliere la sfida che Gesù ci lancia anche in questo Vangelo:
“Chi perderà la sua vita per causa Mia, la salverà”.
(Dice Gesù:) “Se tu vivi la tua vita per Me e con Me, la vedrai fiorire e il fiore più bello che vedrai, se Mi segui, è la tua libertà. Tu con Me sarai libero, libero – innanzitutto – di guardare l’abisso del cuore, non ne avrai paura. Con Me non avrai più paura di questo abisso di desideri, non avrai più paura di desiderare e vivere per te sarà una sfida, invece che un lamento. Bel miracolo di questi tempi: un uomo che non si lamenta, ma che investe la vita con tutta la forza e il desiderio che ha dentro! Non è un uomo che i suoi desideri li soddisfa tutti o che non ha più problemi. È un uomo la cui vita è pieni di segni che lo autorizzano a desiderare, non ha soddisfatto ancora nessun desiderio, ma è certo che c’è la risposta a tutto. Questo è il tono vibrante con cui Cristo si lancia e ti lancia nell’avventura.
Omelia Don Carlo 25 febbraio 2020
Omelia 25 febbraio 2020
“Non avete perché non chiedete”.
I giudizi taglienti di Giacomo: perché per avere io devo chiedere. Niente di ciò che ho è mio. Io non creo nulla e non domino nulla della mia vita.
Il mondo intero in questi giorni tocca con mano il panico di questa verità.
Siamo in balia di qualcosa che non vediamo. I potenti del mondo sembrano impotenti.
Per avere bisogna chiedere, ma non basta chiedere – dice in modo quasi feroce e chirurgico Giacomo. “Voi non ricevete perché chiedete male, cioè chiedete – precisa – per soddisfare le vostre passioni”, chiedete dei particolari e quindi non ricevete non perché chiedete troppo, ma perché chiedete troppo poco rispetto a ciò che Dio vi dà, perché Dio dà tutto, dà se stesso, dà sempre di più di quel che chiediamo.
E anche quando ci dà dei particolari – e ce ne dà tanti – ce li dà come segno di Lui, della sua grandezza, non ce li dà per soddisfarci.
Ma i particolari deludono sempre, ma la delusione non viene da Dio, perché Lui ci dà poco, viene dalla nostra meschinità, perché noi ci fissiamo su quella cosa che ci ha dato (e) non sul segno che la cosa è, e la cosa delude.
Infatti il nostro problema verso Dio, quello che ci impedisce un rapporto vero, pieno, splendido, liberante, non è il nostro peccato, la nostra debolezza, né tanto meno la feroce volontà di Dio, il nostro problema nel rapporto con Dio è uno: la meschinità del nostro orizzonte; Perché Dio è un esagerato e uno con cui non si può contrattare per tirare al ribasso il prezzo.
Con questo Dio che dà tutto se stesso c’è un solo modo per averla vinta è di sfidarlo, di rilanciare per alzare il prezzo non per abbassarlo.