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Omelia Don Carlo 10 novembre 2019

Omelia 10 novembre 2019

“La fede non è di tutti”: constata, disarmato, Paolo.
Di fronte al suo annuncio che svela Cristo presente, alcuni ci credono, altri no.
E come mai? Di chi è la fede? Da cosa dipende che uno creda e l’altro sia ateo?
La fede – dicono i razionalisti e i fideisti – è una grazia. La grazia la dà Dio, arbitrariamente, a chi Gli pare. Quindi, fede o ateismo sono colpa di Dio e basta. Si ragiona così oggi, ma così un credente e un ateo sono due robot programmati: uno è programmato per credere, l’altro per essere ateo.
Ma che angoscia un mondo di robot, non c’è più gusto ad incontrare nessuno! Ad un robot non puoi mica poi chiedere le ragioni di com’è la vita davanti a Dio o senza Dio.

Non è vero che la fede è una grazia! La grazia c’è, come condizione della fede, ma è data a tutti. È data al credente e anche all’ateo.
La grazia è un segno perché tu possa dire “sì” e tu possa dire anche “no”.
La grazia è condizione della fede e dell’ateismo, ma non è la causa. La fede e l’ateismo sono un atto di libertà: o un “sì” o un “no”.
Ma sono sono un “sì” o un “no” – dice il Vangelo di Luca – non ad un qualunque Dio: “Non è un Dio dei morti, ma un Dio dei viventi”.
Un Dio che viene nel mondo per i viventi, per quelli che vogliono essere viventi, che ti propone una vita cento volte più vita e tu dici il tuo “sì” o il tuo “no”. Non lo dici a Dio, ma lo dici a te, al tuo centuplo o ad una vita senza il centuplo.
Allora il problema è – di fronte al segno del Dio dei viventi che ti sfida ad una vita cento volte più vita – è più ragionevole dire “sì” o dire “no”?
Chi lo deve dire? Non c’è un arbitro, un terzo; lo deve dire… Ecco – come in questo device qui, i tablet di ultima generazione, gli unici che ancora mi consentono di vederci, di veder qualche segno – è un problema di faccia!
Questo qui c’ha il riconoscimento facciale: se la mattina mi sveglio con la faccia brutta mi dice: “Ma chi sei tu? Che cosa vuoi?” Non si apre, perché non gli mostro la mia faccia vera, quella con cui mi ha fissato quando l’ho comprato.
Ecco la fede si compie – se è vera – in un riconoscimento facciale.
Cristo chiede la tua faccia vera e che ti dice che se guardi Lui diventa cento volte più bella. Se Gli mostri una faccia tarocca, se non stai davanti a Lui con quello che sei veramente, se in faccia non c’hai il cuore, non si apre a te la strada.

Ecco, la fede cristiana introduce nel mondo un nuovo sport olimpico: la sfida delle facce. E questa è una sfida per tutti, non per i religiosi, i buoni, i pii, i morali, perché una faccia ce l’han tutti da dare. Il dramma è se in quella faccia ti si vede il cuore che liberamente dice: “Sì, mi voglio bene, perciò ti voglio bene”, oppure se tu t’accontenti di una faccia tarocca. E allora il tablet non si apre, non vedi il mondo vero che vuole fare irruzione nella tua vita.

Omelia Don Carlo 8 novembre 2019

Omelia 08 novembre 2019

Gesù loda la scaltrezza come virtù, una delle più importanti virtù cristiane: essere furbi, non farsi distrarre da questioni secondarie, star sull’essenziale. Come scopre Paolo dopo la conversione e dice:
“La grazia che è stata data a me di annunciare Cristo alla genti”.
Era una rivoluzione che poteva solo terremotare un ex fariseo come lui. Le genti, “goyim” (in ebraico), gli altri, gli sporchi, gli schifosi, i non-circoncisi, senza religione, senza morale, gente che “non ha un verso”, che non può capire le cose: così i Giudei e i Farisei guardavano le genti (pensando) “Questi non possono capire, punto.”
E, invece, di fronte all’annuncio di Paolo capiscono, anzi capiscono l’essenziale perché hanno un cuore come tutti quegli altri. E se capiscono l’essenziale immediatamente sono entusiasti della fede, molto più degli ex-ebrei che, invece, non erano entusiasti, si complicavano la vita con mille regole, regoline, discorsi affilatissimi che spaccavano il capello in quattro. Ed erano soffocati e non avevano più entusiasmo e volevano che tutti, anche i non-circoncisi, si circoncidessero.
Perché regole, parole, commenti acuti, ossessivi, chirurgici fanno perdere l’entusiasmo, fanno perdere di vista l’essenziale.
Solo l’essenziale entusiasma!
Quando perdiamo l’entusiasmo ci incattiviamo, ci appesantiamo è perché non siamo stati furbi come l’amministratore infedele. Ci siam fatti derubare dell’essenziale.
Tutto dell’annuncio e la sfida di Papa Francesco per i cristiani questa volta, non a quegli altri, è proprio su questo: “Uscite!. Uscite da tutte le complicazioni e le strutture, le leggi delle associazioni che vi complicano la vita. Ritrovate l’entusiasmo per il punto di fondo della fede!”. Altrimenti vi estenuate fra voi stessi, non intercettate più tutte le anime ferite di cui è pieno il mondo che non staranno mai dentro gli standard di una fede associativa, fatta di discorsi, regole che appesantiscono e complicano.
Gesù è venuto a semplificarcela la vita, perché a complicarcela bastavamo noi.
La fede cristiana – che io sappia – è respirare, godere, dare un moto, un brivido, un tono di entusiasmo. Non vorrei banalizzare il tono, ma è un po’ come il caffè che “è un piacere, sennò che fede è”?

Omelia Don Carlo 7 novembre 2019

Omelia 07 novembre 2019

“Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo del Signore”.

La coscienza netta, perentoria di Paolo. L’evidenza prima della vita, in questo istante, è che io sono fatto, dipendo da.
Come vivere lo decido io in ogni istante, se sono cosciente, se non sono scemo e in balia di tutto.
Ma che io vivo lo decide un Altro: dalla nascita fino alla morte io appartengo ad un Altro, son di un Altro.

Ma chi è? Che faccia ha? Che cuore ha?
La riposta a queste domande decide la mia faccia, il mio cuore. Se io non ho coscienza di Colui da cui dipendo, non ho coscienza di me. La mia felicità e la mia libertà – o il contrario – dipendono dal sapere chi è Colui da cui dipendo.
Questa è la drammaticità dell’esistenza umana che trovate in ogni opera della cultura e dell’arte. Trovate la domanda, ma mai la risposta. Nessun genio l’ha potuta dare.
Dice l’evangelista Giovanni più volte: “Dio nessuno Lo ha mai visto”.
È qui che Paolo ribatte perentorio, anche a Giovanni: “No, Cristo morto e risorto è il Signore dei morti e dei vivi”.

Ma io come faccio a sapere se Paolo ha ragione, che cosa mi cambia nel cuore e nella faccia se Paolo ha ragione?
Io lo devo sapere per vivere, dovrei saperlo sempre, ma siamo così distratti, ottusi e superficiali. Quando le cose sono ok, questo dramma non lo riconosciamo mai, ma quando arriva la botta del dolore lo dobbiamo sapere chi è questo Signore da cui dipendiamo. E quando ci pensiamo, quando dobbiamo riconoscere che dipendiamo,
che reazione abbiamo? E che posizione prendiamo?

Omelia Don Carlo 6 novembre 2019

Omelia 06 novembre 2019

“Non siate debitori di nulla a nessuno”.

E nessuno è nessuno! Né amici, né capi, né Dio. Liberi e basta! Questa è l’audacia di Gesù: è quasi blasfema… È l’unico che sfida l’uomo ad essere libero. Ma l’uomo libero a chi risponde? Qual è la legge della sua vita?

“La pienezza della legge è la carità” conclude Paolo.
L’uomo libero ha come unica legge la legge del suo cuore e basta. L’uomo libero obbedisce al proprio cuore e la legge del cuore è la carità. Io sono fatto per amare, per donare gratis tutto me stesso a te, a Dio, perfino ai nemici. Così io mi realizzo, così amare me coincide con l’amare te. Amare me, amare te, amare Dio coincidono per l’uomo libero.
È l’uomo che non deve più scegliere, ma soltanto abbracciare. Perché l’uomo moderno ci ha convinti che la libertà è scegliere, no! La libertà è abbracciare tutto. Non esiste dentro il mondo una esperienza di unità più potente e liberante di questa.
Perché chi ama così è libero, in tutto e anche da tutto.

Come dice il Vangelo: “Chi non rinuncia ai suoi averi non può essere mio discepolo”.
Ma uno che obbedisce alla legge del suo cuore e basta è un uomo che può liberamente rinunciare a tutti i suoi averi perché è già realizzato, perché ama e non ha bisogno di cose per riempirsi il cuore. Il cuore è pieno dell’amore che vien dal cuore stesso.
Non esiste dentro il mondo una densità di esperienza umana più potente di questa, che è una sfida all’uomo come uomo. Non esiste una cultura, una esperienza religiosa, ma anche una esperienza laica di qualunque tipo, che sfidi l’uomo ad una pienezza più grande e ad una libertà più grande.

Omelia Don Carlo 5 novembre 2019

Omelia 05 novembre 2019 – Sera

“Conduci qui i poveri, storpi, ciechi e zoppi”.

Immaginate le facce di questi invitati a tavola che si guardano: poveri, stolti, ciechi e zoppi. Bella accozzaglia. È l’immagine di una comunità cristiana reale, che ci si guarda e come diceva Di Pietro: “Che ci azzeccano l’un con l’altro?”
Più ci si guarda e più mi vien da dire: mai ci saremmo scelti. Infatti, non ci siamo scelti! Tanto siamo “impossibili”, neanche insopportabili. Ma è proprio paradossale: noi mai ci saremmo scelti ed è proprio l’essere scelti che ci mette insieme. Siamo qui perché scelti, ma non da noi, da un altro.
Siamo insieme perché scelti ad esserci. Ricordo che mi raccontò Enzo un dialogo con Giussani in cui lui diceva che a Bologna ne siamo in tanti, ma poi di veramente amici sono pochi. E Giussani fa “ma che problema è?” “Ma come? Non dovremmo diventare… Dobbiamo diventare tutti amici.” “Senti ma tu li hai scelti questi amici?” “No, non li sopporto. E loro mi preferiscono, ma io non li sopporto.” “E allora perché ci stai con loro?” Eh appunto, perché un altro vi ha scelti e vi ha messo insieme.
È proprio questo disagio che per fortuna permane per tutta la vita tra noi, una non ovvietà, rapporti un po’ “da grattugia”. È paradossale, ma è la cosa più bella che c’è, che ci costringe, fa venir fuori – almeno ad un impulsivo come me tante volte – “Ma chi ti vuole a te? Ma cosa ho io in comune con te? Chi sei tu? Sei uno scelto, esattamente come me. Ti vuole Quello che vuole anche me.
Ed è esattamente questa scelta, è la Sua scelta che ci mette insieme. E per capire noi dobbiamo capir Lui, se ci fissiamo su di noi scoppia tutto. Per capire, per stare insieme bene, liberamente, potentemente come segno, dobbiamo guardar Lui. Paradossalmente è una grazia trovarsi a disagio fra di noi, perché ci impedisce l’abitudine, ci impedisce di starci con la “pomata balsamica”, perché stiamo con gente diversa, piena di limiti ed è proprio questo disagio che ci sveglia.
Noi possiamo stare insieme solo se abbiamo coscienza dello scopo per cui siamo stati scelti ad essere insieme, perché non siamo stati [messi] insieme per andare d’accordo. Essere uniti non vuol dire essere d’accordo. Si è uniti sull’essenziale, su mille altre cose si può essere diversi.

Ma allora la domanda di fondo: se non siamo insieme per andare d’accordo, perché Lui ci vuole insieme? Qual è il suo scopo?
Dice questa parabola di questo invito strampalato, appunto come l’accozzaglia di poveri che il Papa fece pranzare in San Petronio, quando venne a Bologna.
Che c’avevano in comune? Che eran stati chiamati dal Papa e basta!
“Diede una grande cena e fece molti inviti”.
Quale era lo scopo di questa cena e di questi inviti? Per far festa! Per gridare, con il fatto di essere insieme, che il destino dell’uomo è una festa, che si nasce per una festa travolgente che prende tutto. Alla faccia di tutti i nichilisti, antichi e moderni.
Cosa occorre per far ‘sta festa? Dove nasce la festa?
Per questa gente qui – che dà testimonianza – da una cosa sola: dal desiderio di far festa, da un desiderio adeguato per la festa. Un desiderio che sia un po’ più grande dei pretesti per non andare: i campi, i buoi, le nozze.

Questo che li ha invitati va giù netto, tagliente: “Nessuno dei primi invitati gusterà la mia cena”.
Perché non la gusteranno? Perché sono immorali? Perché non sono abbastanza buoni? No! Per partecipare alla festa c’è soltanto una virtù: accettare, la voglia di far festa. “Nessuno dei primi invitati gusterà la mia cena” non perché non erano abbastanza buoni, ma per un’altra cosa: non erano abbastanza desiderosi, erano meschini nei desideri. Gli unici esclusi dal Regno di Dio non sono… Nessun peccatore è escluso, più grande è, più c’è posto per lui, perché è uno che vuole la grandezza. Quelli che non avranno l’audacia di entrarci, è perché non hanno il pass partout di un desiderio adeguato, cioè i meschini.